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Tumori rari del sangue, la “rinascita” di Francesca

Settembre 14, 2022
Raffaella Cesaroni

Nel mese di settembre si celebra la Giornata Mondiale di sensibilizzazione sui tumori rari del sangue. L’obiettivo è riconoscere e dare un nome a sintomi spesso subdoli, per potersi curare. Oggi, grazie a terapie innovative, tornare alla vita è possibile. Come ci racconta Francesca in questa intervista che le ho fatto e voglio condividere con voi.

Tumori rari del sangue, il 9 settembre si celebra la Giornata Mondiale di sensibilizzazione sulle malattie mieloproliferative. L’obiettivo è accendere un faro su queste patologie, di cui si parla ancora troppo poco e spesso in maniera fuorviante. Riconoscere e dare un nome a sintomi spesso subdoli, per potersi curare deve essere il primo passo da affrontare. Perché oggi, grazie a terapie innovative, tornare alla vita è possibile. E allora anziché parlare dei tumori rari del sangue spiegandovi cosa sono, questa volta abbiamo deciso di raccontarvi la storia di una donna che – seppure di fronte a una diagnosi così dura – anziché disperarsi non ha mollato. Francesca, così si chiama la paziente che ho intervistato, oggi ha 47 anni. Ha saputo di essere affetta da un tumore raro del sangue quando aveva 40 e non nega che quel momento è stato disastroso. Sette anni dopo, però, la sua testimonianza è preziosissima perché è la dimostrazione che grazie alle cure che oggi si hanno a disposizione, combattere la malattia e “risalire” si può: fino in cima! La sua storia è un inno alla vita. Francesca ha deciso di metterla a disposizione delle tante persone che hanno ricevuto o riceveranno diagnosi come la sua. E il suo messaggio è davvero potente! Se volete vederla, anziché soltanto leggere le sue parole, la trovate qui.

La storia di Francesca

“Ho 47 anni – inizia a raccontare Francesca Masi. Ho ricevuto una diagnosi di Mielofibrosi quando ne avevo 40 e secondo Internet – a quel tempo – avevo una speranza di vita da zero a 5 anni. Quindi sarei già morta da 2 anni se avessi dato retta alle informazioni su Internet. Esistono oggi delle terapie molto efficaci, purtroppo poco conosciute – per questo mi sto impegnando a divulgarle ci dice – che permettono ad una persona con diagnosi di mielofibrosi di ritornare alla vita dopo le cure e di proseguirla come se non si fosse stati mai malati. Io su Google trovai 5 anni di vita. Ne avevo 40. Ero già morta a quest’ora, secondo Google. Purtroppo, non c’è informazione. Io per Google ero morta, mio figlio aveva 5 anni”.

Il progetto “Fino in cima”

Francesca sulla Piramide Vincent

“Il progetto che ho ideato e che ho realizzato si chiama <<Fino in cima>> e l’idea è stata questa: come i malati di tumore raro del sangue scalano le montagne per arrivare a stare meglio, io da trapiantata ho scalato una montagna reale – sono arrivata in cima a 4.200 metri – e ho guardato le nuvole dall’alto in basso” – racconta Francesca – che non nasconde il tunnel nero nel quale entrò quando scoprì di essere malata. “Per me la diagnosi è stato un momento catastrofico, proprio perché i sintomi non sono gravi ed allarmanti. Una persona si aspetta una diagnosi più leggera, mentre venire a sapere che sei affetto da un tumore raro del sangue – io ho avuto la diagnosi a 40 anni – è stato davvero un disastro. Da subito, però, se ci si affida ad un medico specializzato, a un ematologo specialista di queste malattie, si capisce che le cure esistono e che possono portarti a un livello di qualità della vita nel tempo, molto simile a quello che avevi in precedenza. Nel mio caso e in altri casi si può persino migliorare seppur avendo addosso una malattia e avendo sperimentato delle cure molto pesanti”.

Il trapianto e la speranza

Riavvolgendo il nastro dei ricordi, Francesca ci spiega come è arrivata ad oggi. “A circa 40 anni ho ricevuto la diagnosi di mielofibrosi. Ho scelto di sottopormi ad una cura sperimentale che adesso è commerciale, che mi ha portato a vivere altri 4 anni in maniera molto simile a quella che era la mia vita precedente, seppure con degli acciacchi. A dicembre 2019, poco prima che scoppiasse la pandemia, la malattia ha preso il sopravvento sulla cura e io sono dovuta andare a trapianto, molto spaventata, sia dalla pandemia che dal trapianto, perché il mio medico mi spiegò che la chemioterapia che fanno prima del trapianto di midollo è il trattamento medico più aggressivo autorizzato nella medicina internazionale. Sapevo di andare incontro a un periodo di vita difficile. Pur attraversando un periodo così difficile avevo la speranza di riuscire a guarire e tornare alla Francesca che ero prima. Ci sono voluti due anni, non poco, ma questa speranza si è avverata. Sono potuta tornare a lavorare, ad allenarmi, a fare la mamma e con molta energia, stando meglio del momento pre-diagnosi”.

La sfida in alta quota

“Sono un’appassionata di montagna da sempre e nella mia testa c’era l’idea di scalare un 4.000 metri – ci dice. Mi sono allenata tutto l’anno, da gennaio, il mio fisico è progredito fino ad arrivare, nel Luglio scorso, a scalare un 4.000 metri, la Piramide Vincent – 4.200 metri. E’ stata un’emozione meravigliosa perché ho ripercorso le sensazioni che avevo durante il trapianto. Di fatica, di mancanza di respiro, ma in quel caso erano dovute all’impresa sportiva che mi aveva portato in cima alla montagna. Come i malati scalano le montagne per liberarsi dalla malattia, così anche io ho scalato una montagna reale e sono arrivata fino in cima con un’emozione immensa nel guardare le nuvole da sopra”.

L’importanza del messaggio

Lo scopo di tutto quello che fa è tanto semplice quando importante. “Quando mi trovavo nel reparto trapianti, mi mancava il respiro, non riuscivo a mangiare. Se avessi visto un’altra persona che uscita dalla mia malattia è riuscita a scalare una montagna, per me sarebbe stato importante. Mi sono arrivati tanti messaggi di persone che hanno colto questo messaggio che è di non perdere la speranza quando si sta male perché nella maggior parte dei casi le terapie portano a stare molto, molto meglio, pur essendo trattamenti aggressivi. Io, Francesca, sono la testimonianza che il ritorno alla vita è possibile, fino in cima”. E noi le crediamo, fino in fondo.

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