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Tutte le incognite della Variante Delta

Giugno 25, 2021
Raffaella Cesaroni

I test rapidi sono ancora utili? E’ la domanda che ricorre più spesso in un’Italia finalmente bianca, ma spaventata dalla possibilità che – come sta accadendo in Gran Bretagna – cominci a serpeggiare anche da noi la Variante Delta.

In un’Italia che ha appena virato sul bianco – un colore che significa finalmente una nuova “normalità” – l’imperativo è: agire contro la diffusione della variante Delta, ex Indiana. Più contagiosa di quella Alfa (ex Inglese) e per la quale una sola dose di vaccino potrebbe non bastare. Farlo in fretta, visto che l’Italia è tra i Paesi al mondo in cui circola di più. Comparsa per la prima volta in India nell’Ottobre 2020, accumula mutazioni con facilità. La più diffusa è la B.1.617.2. Nel Laboratorio di Biologia Molecolare dell’Azienda sanitaria di Piacenza, lì dove negli ultimi giorni è stato individuato un focolaio di 25 casi di variante Delta, la responsabile ha detto a un mio collega che è andato ad intervistarla “di aver capito che qualcosa non andava quando ci siamo trovati di fronte a campioni negativi per le mutazioni ricercate”. E di averne dedotto che i Kit in commercio non evidenziano la variante indiana Delta. A Piacenza la soluzione è arrivata grazie alla decisione di sequenziare i campioni raccolti attraverso un protocollo messo a punto in collaborazione con il San Matteo di Pavia.

Le spiegazioni del Professor Fausto Baldanti

Conosco da diversi anni il Professor Fausto Baldanti che è Responsabile del Laboratorio di Virologia Molecolare del San Matteo. Persona che stimo e che passa da sempre – da ben prima del Covid – gran parte della sua vita in laboratorio. E allora gli ho fatto alcune domande, per capire. Mi ha confermato prima di tutto che il protocollo utilizzato a Piacenza è quello di sequenziamento del “gene spike” che usano a Pavia, che gli è stato chiesto ed è stato concesso. Con ottimi risultati, evidentemente.

Test per la diagnosi e test di screening

E mi ha subito spiegato che la Variante Delta non sfugge ai test diagnostici, ma deve essere tracciata. Va però spiegato – mi ha detto il Professor Baldanti – che quando si parla di test rapidi, in realtà ci si riferisce a due cose. “Un conto sono i test rapidi per la diagnosi, ma poi ci sono i test di screening delle varianti. In questo caso si tratta di una combinazione di PCR che consentono, in tempi molto rapidi, di dare un’indicazione di presunzione circa la presenza o l’assenza di determinate mutazioni i due posizioni critiche della proteina Spike, le posizioni 501 e 484. Nei test di screening, infatti, avere positività di una PCR e negatività dell’altra, oppure positività di tutte e due o negatività di tutte e due, ci fa orientare nella priorità del sequenziamento – mi ha spiegato Baldanti cercando di semplificarmi il discorso – aggiungendo che i test di screening rapido sono un valido aiuto”.

L’indagine rapida del Ministro Roberto Speranza

Il Ministero della Salute ha disposto una nuova «indagine rapida» per stimare la diffusione delle varianti, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con le Regioni. Nel frattempo la domanda che ci poniamo è: in che modo possiamo contenere la tanto temuta variante Delta? La risposta del Professor Fausto Baldanti è allo stesso tempo secca, semplice e ambiziosa. “Vacciniamoci tutti. Non c’è modo più efficace per bloccare l’avanzata delle varianti”. E io mi fido di lui.

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